Natasha ha preso il bus

TEATRO SOCIALE DI BELLINZONA

NATASHA HA PRESO IL BUS

di Sara Rossi Guidicelli
con Ioana Butu e Daniele Dell’Agnola
regia Laura Curino
produzione Teatro Sociale Bellinzona

 

Natasha ha preso il bus è uno spettacolo teatrale che narra storie di badanti, toccando temi di grande attualità quali la terza età e le migrazioni.
Durante un’intervista, poco dopo il suicidio di due badanti in Ticino nel 2012, una badante ha confidato alla giornalista Sara Rossi Guidicelli: “Nessuno ci chiede mai chi siamo. Al massimo la gente si informa su come sta la signora o il signore insieme a noi, come se fossimo badanti e basta e non persone. Ma noi non siamo badanti e basta”. Da questa richiesta di ascolto è nato un lavoro che raccoglie testimonianze di donne dell’Est Europa arrivate da noi per occuparsi degli anziani, a casa loro, 24 ore su 24. Ne sono nati un libro e uno spettacolo teatrale. La pièce è un monologo che sarà messo in scena con la prestigiosa e capace regia di Laura Curino. In scena ci saranno Ioana Butu, attrice rumena che da anni opera in Canton Ticino, e il fisarmonicista Daniele Dell’Agnola.
Il testo è la storia di quattro badanti, tutte dell’Est, che raccontano il mondo di casa loro, il viaggio che hanno intrapreso e le motivazioni che le hanno spinte a compierlo, l’arrivo, il lavoro in famiglia, la convivenza con la persone bisognosa di cure, i sogni che restano e quelli che svaniscono, le rivendicazioni, il vissuto e l’immaginario di tutte le badanti.
Molte di loro affermano che si tratta di un “mestiere bellissimo”, ma che ha bisogno di cultura e di leggi per essere tutelato. Il teatro si fa quindi mezzo, insieme alla musica, per dare voce a chi di solito non ne ha, lanciando una riflessione e provando a creare un ponte tra i due bisogni: quello di chi cerca lavoro e migra senza la sua famiglia e quello di chi vorrebbe ancora vivere a casa propria ma non è più in grado di farlo da solo. Un accenno particolare, in questa storia, è dedicato ai figli – molto spesso, le figlie – che lavorano e non possono o non se la sentono di accogliere in casa i propri genitori. Ioana Butu ha cercato le canzoni che le badanti cantano la sera su skype ai loro nipotini, o i canti di Pasqua e Natale che si intonano nelle chiese ortodosse, per interpretarli accompagnata dalla fisarmonica di Daniele Dell’Agnola.

Debutto: Teatro Sociale di Bellinzona (CH), 8 novembre 2018.

 

NOTE DI REGIA

Molti anni fa mi capitò di incontrare una donna sulle panchine di un parco. Tutte e due ci stavamo godendo una pausa di lavoro, sbocconcellando un panino. Disse di chiamarsi Maria.
Vado spesso nei giardini e nei parchi, negli orti botanici, nelle serre, se ho un po’ di tempo. I teatri sono sempre necessariamente scuri, chiusi e bui o illuminati dalla luce artificiale… ho bisogno d’aria fresca e di tanta luce naturale.
Maria aveva un bel volto sereno, un po’ malinconico. Uno scoiattolo che correva sull’albero di fronte ci ha fatto ridere e abbiamo cominciato a chiacchierare.
Lei veniva dall’Est e lavorava come badante. Le ho chiesto da quale paese venisse, e quali fossero le bellezze che là si potevano visitare (non perdo mai l’occasione per farmi dare consigli di viaggio) e poi le ho domandato della cucina, degli artisti, della storia e delle tradizioni. Siamo passate a parlare del suo matrimonio e poi della sua famiglia, dei suoi figli. Lei raccontava con grande piacere. Il tempo è passato veloce. Lei ha guardato l’orologio: “Devo andare se non voglio arrivare in ritardo! Arrivederci. Grazie tantissimo”
“E di cosa? Io non ho fatto niente” ho risposto.
“Sì, invece: lei mi ha chiesto del mio paese. Qui sono tutti molto gentili con me, non mi posso lamentare, ma quando incontro persone estranee mi chiedono come mi trovo, se vengo trattata bene dai miei datori di lavoro, se sono stanca… mi fa piacere, ma nessuno mi chiede mai della mia vita, della mia casa, delle mia campagna, invece io ho sempre tanta voglia di parlare dei mio paese e della mia famiglia. Grazie.”
Mi ha salutato ancora ed è corsa via.
Da allora, per anni ho pensato che avrei voluto fare uno spettacolo sulle badanti, ma non avevo mai il tempo di scriverlo.
Quando ho incontrato il testo di Sara Rossi Guidicelli è stato come ritrovare quella lontana Maria e tante sue colleghe. Tutte diverse l’una dall’altra, tutte uniche e speciali, unite dallo stesso destino.
È un testo, questo, particolarmente affascinante perché fonda le sue radici nelle testimonianze.
L’autrice si è messa in ascolto, un po’ come per caso capitò a me, in quel parco, tanti anni fa, e poi le ha raccolte in un libro ed ha scritto questo testo per il teatro.
Il nostro incontro, favorito dal Teatro Sociale di Bellinzona, ha fatto sì che oggi si possano mettere in scena alcune delle molteplici voci raccolte dall’autrice.
Ho potuto contare sulla straordinaria sensibilità e duttilità di Ioana Butu, con cui abbiamo trasformato queste confidenze preziose in personaggi interpretati con rispetto, senso del gioco drammatico e condivisione.
Insieme a Daniele Dall’Agnola abbiamo costruito il paesaggio, l’ambiente, in cui l’attrice si muove. La musica evoca luoghi e sentimenti, prende su di sé il compito di comunicare anche il “non detto”, il troppo difficile da esprimere, l’intraducibile.
Le luci di Alessandro Bigatti sono le mie indispensabili fonti di definizione dello spazio emozionale.
Le badanti passano tutte attraverso il corpo dell’attrice e restano con noi giusto il tempo della piccola pausa che un lavoro così avvolgente, totalizzante, concede.
Sono donne con caratteri diversissimi tra loro. Hanno esperienze altrettanto differenti.
Allegre, divertenti, malinconiche, volitive o timide, sono tutte coraggiose. Non hanno casa, ma vivono nelle nostre case e le governano. Sono lontane dalla loro famiglia, ma custodiscono la nostra famiglia. Affidiamo loro i nostri cari, che non vogliamo allontanare dal loro vissuto.
Noi, stretti nella morsa della contemporaneità, non possiamo occuparcene appieno.
Allora affidiamo alle badanti il compito di Enea ed esse si prendono sulle spalle Anchise, lasciandoci a volte l’amaro in bocca di chi si sente in colpa.

Insieme alle difficoltà dei nostri anziani, esse devono saper mitigare il nostro senso di impotenza e il sospetto di star scegliendo la via dell’abbandono mediata dalla presenza di un’estranea.
Non tutti lo sopportano. C’è chi sfoga in parte su di loro il proprio dolore e la propria frustrazione. Chi, in cambio del giusto compenso, pretende anche l’impossibile.
Molti invece capiscono che la via dell’accoglienza e dell’amore può portare ad un nuovo concetto di famiglia, che le comprende, e può regalare una diversa serenità a tutti.
Quello che mi colpisce è come le badanti vivano davvero ogni giorno sulla via dell’abbandono: vivono continui addii.
Sono donne che costruiscono la felicità ultima dei nostri cari e poi, come noi, devono viverne il distacco, cucinare gli ultimi biscotti, riordinare per l’ultima volta mucchi di vecchi abiti e spegnere per l’ultima volta le luci, magari quelle piccole, che lasciavano accese anche di notte e poi se ne vanno, come vestali, lasciando il tempio che custodivano.
Chi custodirà i genitori dei custodi?
È una domanda che striscia nei loro pensieri, ma la rimuovono, prendono la loro valigia e sono pronte per un nuovo viaggio.
Anche oggi, da qualche parte, una Natasha ha preso il bus.

Laura Curino